Di Giuliano Gaia
Siamo stati alla mostra permanente “Memoria e Migrazioni” al Museo del Mare di Genova, e ne siamo usciti colpiti, turbati, a tratti commossi. E’ una mostra che fa vivere un’esperienza, quella durissima della traversata atlantica di intere generazioni di italiani che andavano a cercare fortuna o semplicemente sopravvivenza al di la’ dell’oceano, negli Stati Uniti o in America del Sud. Un tema quanto mai attuale, e non solo per i continui sbarchi di clandestini in Italia del Sud, ma anche perche’ a causa della crisi economica e morale del nostro Paese stiamo tornando ad essere una terra di emigrazione, con Ryanair al posto dei transatlantici della Cunard. “Chi non conosce la propria storia e’ condannato a ripeterla“, diceva il filosofo spagnolo Santayana, e noi italiani troppo rapidamente ci siamo dimenticati di essere stati emigranti disperati per non dover tornare ad esserlo.
Questa splendida mostra, inaugurata nel 2011 al Museo del Mare di Genova, ha l’obbiettivo di rinfrescarci quella memoria dolorosa, e lo fa in modo molto efficace, combinando magistralmente gli ingredienti di un museo moderno: allestimenti, storytelling e tecnologie digitali.
La visita inizia con un multimediale semplice e coinvolgente: un touchscreen in cui e’ possibile selezionare lettere di emigranti e sentirle leggere da attori in costume. Le lettere, con quello stile sgrammaticato e formale al tempo stesso tipico di chi non e’ abituato a scrivere, sono decisamente toccanti, vere e proprie voci dal passato. Figli che invitano i genitori a raggiungerli, raccomandazioni a chi deve venire di non farsi truffare sul prezzo del biglietto, impressioni dal nuovo mondo e soddisfazione per i risultati raggiunti. Questa e’ storia vera, immediata, che il digitale ha saputo rendere vicina e coinvolgente, dimostrando che quando ben usata la tecnologia può essere tutt’altro che “fredda”.
A questo punto inizia il viaggio vero e proprio, che porta il visitatore dai vicoli ricostruiti di Genova alle brande di un dormitorio di terza classe (veri e propri lager bui e puzzolenti, sconvolgenti anche per le abitudini non proprio schizzinose dell’epoca), fino all’arrivo alla frontiera e infine ad una piantagione tropicale, obbiettivo finale del viaggio.
La mostra non ci risparmia un impressionante confronto tra le condizioni proibitive della terza classe e il lusso della prima, con camerieri eleganti e stoviglie d’argento. Un contrasto su cui il film Titanic ha costruito un successo planetario, e che era triste realtà dei transatlantici di inizio secolo.
In tutte queste tappe del viaggio un accorto mix di ambienti ricostruiti e inserti digitali sotto forma di audio o video creano un’esperienza fortemente immersiva ed emotiva, in grado di reggere all’inevitabile usura del tempo: se infatti un videogioco dopo un paio d’anni appare irrimediabilmente datato, un video con il monologo di un attore ben recitato e’ in grado di emozionare anche dopo decenni. D’altro canto l’unica cosa che non invecchia sono le storie, e la mostra di Genova ha dimostrato di saperle raccontare davvero bene.
la mostra si conclude con un exhibit meno spettacolare ma a ben vedere ancora più forte: un collegamento online con le banche dati dei migranti del Novecento, che permette di ricercare il proprio cognome e scoprire se le nostre radici personali affondano in questo passato cosi’ vivo e doloroso, rendendo quindi la Storia ancora piu’ vicina a noi stessi, con un uso intelligente del digitale come strumento della “memoria di tutti noi“.
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